giovedì 23 agosto 2007


Una volta superato il panico da foglio bianco sono mille le cose che vorrei scrivere, finalmente un blog in cui poter parlare di noi, le donne, le ragazze, questa strana metà del cielo così complicata eppure resa così semplice da secoli di stereotipi.
La donna mamma, la donna figlia, la donna casalinga, la donna in carriera, la donna mangiatrice di uomini. Come se ognuna di noi non fosse ognuna di queste e allo stesso tempo nessuna!

Da ragazza mia mamma bruciava i reggiseno nelle piazze e strappava i manifesti della birra Peroni “una bionda per la vita”, battagliando per l’aborto ed il divorzio.
Noi oggi ci indigniamo perché qualsiasi cosa, sia essa un gelato, una borsa o un telefono, per essere venduta ha bisogno di essere spalmata su un paio di tette taglia 4°.
Ci disturbano pubblicità come quelle di detersivi che potrebbero essere state girate negli anni ’50, in cui solo le donne stanno in cucina e lavano i piatti sorridendo di piacere per la brillantezza dei bicchieri del servizio buono.
Ci troviamo schifate a parlare dell’uso che alcune donne fanno del proprio corpo per raggiungere obiettivi lavorativi, magari passando dai divani di assistenti parlamentari, e dell’importanza mediatica, troppo spesso in positivo, che a questo viene data.

Eppure noi i reggiseno non li bruciamo. Li mettiamo, e spesso anche imbottiti, perché nonostante tutto la malattia “vorrei avere le forme della canalis” colpisce anche noi. E ci trucchiamo gli occhi, e ci mettiamo le lenti a contatto invece degli occhiali. Sappiamo che è stupido, ma lo facciamo ugualmente, magari soffrendone un po’.

Siamo per questo meno femministe delle nostre mamme? Siamo forse più stupide, forse meno forti?

Io credo sia arrivato il momento di fare un passo più in là nella riflessione. Renderci conto che nessuna è intellettuale o bella o mamma o donna-in-carriera. Come non esistono persone naturalmente buone e persone naturalmente cattive. In ognuna di noi ci sono tutti questi aspetti e la difficoltà è farli convivere, lasciando più spazio a quelli che riteniamo prioritari, si, ma senza necessariamente uccidere gli altri.
Credo anche che restare ferme su posizioni come quelle degli anni ’70, per cui la prova dell’intelligenza e dell’arguzia passano necessariamente dalla mortificazione del corpo e della femminilità, sia controproducente proprio ai fini del riconoscimento di quei diritti e quelle pari opportunità che tutte noi vogliamo.
Se il simbolo del femminismo e quindi della lotta per le pari opportunità e il rispetto dei diritti delle donne passano per la negazione della femminilità, infatti, quando uno stronzo tocca il sedere in metropolitana ad una ragazza, o peggio ancora la violenta, la società si sentirà autorizzata a pensare che lei “se l’è cercata” e magari “lo voleva” perché indossava un paio di jeans attillati.
E se una ragazza è bella automaticamente dovrà provare di essere anche intelligente e colta, perché il luogo comune farà sì che solo le bruttine siano colte, perché nessuno le vuole e quindi studiano.

Io vorrei una società in cui non devo fare il triplo della fatica di un mio collega maschio sul posto di lavoro per provare che sono competente o avere il suo stesso stipendio, e non devo camuffarmi da befana per fare politica ed essere presa seriamente, e non devo fare attenzione a non avere relazioni sul posto di lavoro per evitare che la gente pensi che la mia promozione è dovuta alla persona con cui vado a letto, e non devo smettere di lavorare per avere un figlio, e non devo subire le angherie di mio marito perché per crescere i nostri bambini ho lasciato lavoro e vita personale e quindi non so dove sbattere la testa se vado via di casa.

Per fare questo voglio fare del nuovo femminismo, forse meno provocatore ma più rispettoso di tutti gli aspetti della mia femminilità. Queste differenze valorizziamole davvero!
Tutto questo può essere fatto soltanto con una riflessione collettiva che parte da uno slogan “vecchio” ma cerca di declinarlo in maniera nuova: io parto da me.

Martina Scheggi, 21 anni, studentessa, donna

Pensieri in libertà.


“ I Passeggeri in arrivo all’aeroporto di fiumicino ultimamente venivano accolti da una donna dal seno prosperoso, con una scollatura che arrivava alla base dello sterno. Appollaiata sul suo cartellone, cercava di attirare l’attenzione dei viaggiatori sui prodotti telecom Italia. [….] Il problema è evidente sia in parlamento sia nei consigli di amministrazione. L’Italia viene prima di Cipro, dell’Egitto e della Corea del Sud tra i 48 paesi esaminati dall’Organizzazione mondiale del lavoro sulla percentuale di donne tra i legislatori, gli alti funzionari e i manager. Secondo l’European professional women’s network, nelle più grandi aziende italiane le donne rappresentano il 2% dei consiglieri di amministrazione, in confronto al 23% della Scandinavia e della Finlandia e al 15% degli Stati Uniti. Forse la nudità il maschilismo e la mancanza di realizzazione professionale sono tutti aspetti di una stessa immagine dell’Italia dura a morire: la mamma governa la casa, ma è confinata in cucina a fare i ravioli mentre le figlie, da cui non ci si aspetta nulla dal punto di vista professionale, cercano il successo attraverso la notorietà e la bellezza.”

Finacials Times



Derisi dalla stampa internazionale, eppure mi chiedo quante donne si siano sentite offese, guardando la pubblicità della Canalis, chinata e protesa con le sue sinuose curve verso lo “spettatore” , mi chiedo poi quante donne invece abbiano pensato “accidenti vorrei proprio essere come lei!” , chissà poi a quante altre sarà balenata l’idea a ridosso delle vacanze di cominciare una dieta flash alla sette chili in sette giorni…eppure all’estero se ne occupano e in Italia tutto ciò non colpisce neanche un po’…

Donne che possono assicurare l’efficacia del finish quantum, donne che svestite assicurano il gusto irresistibile di un gelato, donne che in costume mezze nude affiancano un uomo ben vestito abbronzato e simpatico in un programma tv, ma è davvero questo lo stereotipo di donna in cui crediamo, è davvero questo quello che vogliamo si affermi come standard dominante?

Credo che a questa domanda la risposta sia una sola e all’unisono, anche da chi qualche volta pensa che somigliare alla Canalis le renderebbe la vita più felice: NO!




Questo stereotipo, lo detestiamo, detestiamo l’idea che la donna italiana sia cosce, tette e culo!

Per questo ci vuole una rivolta, una battaglia dal basso che decostruisca costantemente lo standard dominante dettato da questo sistema economico, dove si affermano due modi di essere donna, o casalinga annullata per la famiglia o giovane bella 90, 60, 90 che può raggiungere un successo
self-made proprio sfruttando la propria esteriorità.

Sono due modelli perfetti per fare accettare, consolidare e mettere radici poi all’idea di una donna che per lavorare e affermarsi, in un contesto che non sia né casalingo, né quello della scatola grigia, deve accettare ogni sorta e forma di sfruttamento e compromesso, d’altra parte non si tratta di ruoli che le competono più di tanto… bisogna pur guadagnarsi la propria fetta di spazio, laddove spazio non ce n’è!

Ebbene ripensare all’essere donna a tutto ciò che ruota attorno alla costruzione della nostra identità di genere. Ripensare a cosa vuol dire oggi rivendicare diritti e spazi per le donne, lontani da un femminismo appiattito su ciò che questo stesso sistema ci porta a dibattere.
E’ giunta l’ora di riaprire una dibattito serio, riaprire un discussione scevra di preconcetti, non inquinata da ciò che significava essere donne una volta, da ciò che il mercato vuole che siano le donne oggi.

Irma Caputo, 21enne, studentessa, donna.
a chi crede nella pari dignità degli esseri umani,
perché noi siamo uguali a te nel rispetto delle differenze.

a chi crede che a tutt* debbano essere garantiti pari opportunità e diritti,
perché noi abbiamo il diritto all’istruzione, al lavoro e alla promozione sociale quanto te.

a chi crede che i ruoli sociali non debbano essere “preconfezionati” dal sistema economico,
perché noi non scegliamo il nostro ruolo come al menù di un ristorante.

a chi crede che nessun corpo mai possa essere strumentalizzato e piegato al servizio del mercato,
perché noi crediamo che i diritti e la dignità vadano oltre il profitto.

a chi crede che lo sviluppo dell’identità di genere debba essere libero da ogni standard dominante,
perché noi crediamo che ogni essere umano debba sentirsi libero di declinare la propria identità di genere al di là di ogni condizionamento.

a chi crede che l’identità di genere debba essere valorizzata nelle differenze e nelle sensibilità,
perché sentirsi uomo o donna non vuol dire essere bottoni della stessa forma e dello stesso colore.

a chi crede che le capacità individuali prescindano dall’identità di genere, dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale,
perché questo è il primo passo per abbandonare preconcetti e conformismi,

perché questo è il primo passo per buttare nella pattumiera vecchi retaggi culturali.

perché questo è il primo passo per affermare una nuova idea
di donna oggi.


Aderisco a questo appello per promuovere il blog donneocaporali.blogspot.com
Spazio di discussione dibattito e analisi su cosa vuol dire essere donna oggi, su cosa vuol dire rivendicare spazi e diritti per le donne oggi, crocevia di esperienze e terreno fertile per la costruzione di un percorso di autodeterminazione della donna di oggi nelle sue nuove sfaccettature nelle sue nuove differenze.


L’idea di questo blog nasce un pomeriggio di agosto da un gruppo di ragazze stanche dei luoghi comuni sul femminismo, stanche di essere bersaglio dell’ironia di amici dall’aria accondiscendente, ma soprattutto di essere etichettate come “veterofemministe” soltanto perché critiche verso il mondo che le circonda e verso alcuni atteggiamenti palesamenti offensivi nei confronti delle donne.





Ma che cos’è, nel 2007, il femminismo? Esiste ancora?
Se si, è sempre lo stesso degli anni ’70?
E se c’è, ce n’è ancora bisogno?
Che cosa vuol dire, oggi, Essere Femministe?

La maggior parte delle persone sembra aver dimenticato le manifestazioni di piazza in cui le nostre mamme e zie bruciavano i reggiseno in segno di protesta, e nonostante slogan come “l’utero è mio e me lo gestisco io” siano stati prontamente rispolverati in occasione del corteo di Milano in difesa della legge 194 solo un anno fa, è difficile credere che la libertà sessuale, oggi tanto sbandierata e spesso ostentata, sia intesa come trent’anni fa.
Periodicamente, inoltre, vengono pubblicati libri e riviste tematiche che raccontano i movimenti degli anni ’60 e ’70 e dedicano dello spazio più o meno ampio al movimento femminista.
Noi però non ci sentiamo ancora preparate, non siamo sicure di aver capito fino in fondo, vorremmo sapere non solo che cosa hanno fatto ed urlato le nostre mamme e nonne e zie, ma come si sentivano mentre lo facevano, che cosa le ha spinte a farlo, cosa dava loro talmente tanto fastidio di quello che avevano intorno per decidere di rompere gli schemi e provocare, sapendo di incorrere nelle battute sessiste di amici e parenti, e magari anche qualche ceffone una volta tornate a casa.
Vogliamo parlare con queste persone, confrontarci con loro, capire se oggi ci sono ancora gli stessi motivi di disgusto, se c’è ancora bisogno di provocare per attirare l’attenzione su questo tema o se i tempi sono abbastanza maturi da non dover più lottare per i diritti che molti (uomini) dicono essere acquisiti da tempo.

Con questo blog vogliamo aprire uno spazio di discussione permanente aperto a tutte e, ci piacerebbe, a tutti, su come il movimento femminista ha inciso nelle nostre vite, che cosa è riuscito a migliorare, quali invece sono stati i suoi limiti.

Soprattutto una riflessione collettiva su che cosa significa essere ragazze e donne oggi, a scuola, all’università, nel mondo del lavoro, in casa, in politica. Donne che vogliono vedere i propri diritti rispettati, che vogliono essere indipendenti, che vogliono veder realizzati i propri sogni.
Ma che non per questo si sentono di definirsi “femministe”perché, forse, oggi il femminismo va declinato in modo nuovo, va sfrondato di alcuni luoghi comuni di cui si è contornato nel tempo, va reso di nuovo provocatorio ed esplosivo ma con idee e mezzi capaci di entrare nei mezzi di comunicazione di massa e di coinvolgere, di incuriosire, di sfruttare le immense possibilità della e-democracy per mettersi costantemente in discussione, per pensare e far pensare.

E, cosa più importante di tutte, vogliamo capire se esiste un modo per non dover scegliere se “stare di qua o di là” dalla barricata. Essere femministe o non esserlo. Essere intelligenti o essere belle. Essere caste o cacciatrici. Essere madri o fare carriera. Curare il proprio corpo o doverlo nascondere e mortificare per dimostrare di interessarsi a cose “più importanti”.
Insomma, essere donne nella accezione più completa del termine, in tutta la complessità che la femminilità comporta, fisica, intellettuale, affettiva.

Essere donne, senza nessun aggettivo accanto. E’ forse chiedere troppo?