Una volta superato il panico da foglio bianco sono mille le cose che vorrei scrivere, finalmente un blog in cui poter parlare di noi, le donne, le ragazze, questa strana metà del cielo così complicata eppure resa così semplice da secoli di stereotipi.
La donna mamma, la donna figlia, la donna casalinga, la donna in carriera, la donna mangiatrice di uomini. Come se ognuna di noi non fosse ognuna di queste e allo stesso tempo nessuna!
Da ragazza mia mamma bruciava i reggiseno nelle piazze e strappava i manifesti della birra Peroni “una bionda per la vita”, battagliando per l’aborto ed il divorzio.
Noi oggi ci indigniamo perché qualsiasi cosa, sia essa un gelato, una borsa o un telefono, per essere venduta ha bisogno di essere spalmata su un paio di tette taglia 4°.
Ci disturbano pubblicità come quelle di detersivi che potrebbero essere state girate negli anni ’50, in cui solo le donne stanno in cucina e lavano i piatti sorridendo di piacere per la brillantezza dei bicchieri del servizio buono.
Ci troviamo schifate a parlare dell’uso che alcune donne fanno del proprio corpo per raggiungere obiettivi lavorativi, magari passando dai divani di assistenti parlamentari, e dell’importanza mediatica, troppo spesso in positivo, che a questo viene data.

Eppure noi i reggiseno non li bruciamo. Li mettiamo, e spesso anche imbottiti, perché nonostante tutto la malattia “vorrei avere le forme della canalis” colpisce anche noi. E ci trucchiamo gli occhi, e ci mettiamo le lenti a contatto invece degli occhiali. Sappiamo che è stupido, ma lo facciamo ugualmente, magari soffrendone un po’.
Siamo per questo meno femministe delle nostre mamme? Siamo forse più stupide, forse meno forti?
Io credo sia arrivato il momento di fare un passo più in là nella riflessione. Renderci conto che nessuna è intellettuale o bella o mamma o donna-in-carriera. Come non esistono persone naturalmente buone e persone naturalmente cattive. In ognuna di noi ci sono tutti questi aspetti e la difficoltà è farli convivere, lasciando più spazio a quelli che riteniamo prioritari, si, ma senza necessariamente uccidere gli altri.
Credo anche che restare ferme su posizioni come quelle degli anni ’70, per cui la prova dell’intelligenza e dell’arguzia passano necessariamente dalla mortificazione del corpo e della femminilità, sia controproducente proprio ai fini del riconoscimento di quei diritti e quelle pari opportunità che tutte noi vogliamo.
Se il simbolo del femminismo e quindi della lotta per le pari opportunità e il rispetto dei diritti delle donne passano per la negazione della femminilità, infatti, quando uno stronzo tocca il sedere in metropolitana ad una ragazza, o peggio ancora la violenta, la società si sentirà autorizzata a pensare che lei “se l’è cercata” e magari “lo voleva” perché indossava un paio di jeans attillati.

Io vorrei una società in cui non devo fare il triplo della fatica di un mio collega maschio sul posto di lavoro per provare che sono competente o avere il suo stesso stipendio, e non devo camuffarmi da befana per fare politica ed essere presa seriamente, e non devo fare attenzione a non avere relazioni sul posto di lavoro per evitare che la gente pensi che la mia promozione è dovuta alla persona con cui vado a letto, e non devo smettere di lavorare per avere un figlio, e non devo subire le angherie di mio marito perché per crescere i nostri bambini ho lasciato lavoro e vita personale e quindi non so dove sbattere la testa se vado via di casa.
Per fare questo voglio fare del nuovo femminismo, forse meno provocatore ma più rispettoso di tutti gli aspetti della mia femminilità. Queste differenze valorizziamole davvero!
Tutto questo può essere fatto soltanto con una riflessione collettiva che parte da uno slogan “vecchio” ma cerca di declinarlo in maniera nuova: io parto da me.
Martina Scheggi, 21 anni, studentessa, donna